Ognuno si costruisce la propria strada nella direzione che sceglie. Poi basta un po’ di buona volontà, il coraggio di proseguire anche se la meta non è troppo chiara o il percorso troppo facile, e la forza di svoltare quando lo si crede necessario. E non è poco. Le scelte, poi, si fanno una alla volta, e si è sempre in tempo per cambiare idea. Tornare indietro forse no, ma reinventarsi non ha età. Chi ha detto che si debba svolgere lo stesso lavoro per tutta la vita? Chi ha stabilito che dopo una laurea in filosofia sia quasi scontato dover piantare la tenda dietro una cattedra? Le persone spesso e volentieri sono belle sorprese, e noi ne abbiamo recentemente avuta una nel nostro salotto.
Il 26 novembre siamo state felici di ospitare a Celimontano la Dott.ssa Daniela Salimbeni, una donna carismatica, determinata, sicura di sé; una project manager con un’educazione classica e un percorso universitario tracciato sul terreno della filosofia che ha deciso di raccontarci del suo lavoro e della sua vita. Volendo usare un’unica parola, di progetti.
Tecnicamente, un progetto consiste in una serie di attività, risorse e mezzi che vanno coordinati al fine di raggiungere un obiettivo prestabilito. E’ questo il compito di un project manager: far sì che l’obiettivo venga conseguito rispettando certi tempi, costi e parametri di qualità. Un po’ meno tecnicamente, un progetto è fatto, in fondo, dalle persone che ci lavorano. Gestire il team di lavoro, ascoltare, comprendere e valorizzare le persone che lo compongono, premiare le risorse che lavorano bene, personalizzare le comunicazioni e trovare una soluzione di fronte alle difficoltà, anche questo è compito del project manager.
E se il project manager fosse una donna? Le cose si farebbero un po’ più difficili, specie salendo di posizione. Un po’ come fare gli straordinari (non pagati, ovviamente): ignorare la battuta sessista del collega prima di entrare in riunione, accettare di ricevere uno stipendio inferiore rispetto a un uomo nella stessa posizione, stupirsi di poter vincere la competizione con qualche individuo di sesso maschile palesemente avvantaggiato in partenza per via di una coincidenza genetica. Anche questi, purtroppo, sono compiti di una project manager. Con un certo rammarico, la Dott.ssa Salimbeni ci ha raccontato della sua esperienza lavorativa in un ambiente prevalentemente maschile che le ha sì sottratto serenità, dandole in cambio una buona dose di consapevolezza: la discriminazione di genere è un fatto culturale, un modus pensandi interiorizzato, e stavolta sì, indistintamente, da uomini e donne, una mentalità troppo ben radicata in una società che si crede avanzata e oltremodo evoluta. Se è vero però che la parità tra i sessi si raggiungerà nel mondo tra circa 250 anni, forse non siamo poi così avanti. Almeno non sotto questo punto di vista. Di certo le cose sono molto cambiate rispetto al passato, ma è altrettanto certo che c’è ancora tanto da fare.
Tempi, costi, qualità, mezzi, comunicazioni, persone: in fondo siamo tutti un po’ a capo di qualche progetto. Di alcuni magari raccoglieremo i frutti, di altri forse non vedremo il compimento. Ci saranno obiettivi personali e vittorie collettive. Ma se progettare è un gettare avanti, ciò che conta è prima di tutto la direzione.
Federica Margherita CORPINA